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La sta del Fantacalcio

settembre 11, 2011

L’asta del fantacalcio è un momento topico per l’italiano e rappresenta un frattale dello zeitgeist. Nessun sociologo si è dedicato a questo fenomeno tutto tricolore, questo probabilmente è un bene, sennò adesso avrei delle friabili categorie da usare qua e la nel testo in corsivo quindi mi affiderò alle celeberrime cinque “W”.

La risposta alla domanda “che cos’è il fantacalcio?” è rintracciabile su Google, il “quando?” è soggetto ad una doppia interpretazione, perché potrebbe riferirsi a quando si svolge o a che età si fa.

Si svolge contemporaneamente al campionato di serie A italiana, il mercato si può fare dal 1 settembre a quando uno desidera, per fare il mercato si fa “l’Asta”.

L’asta dal vivo è un rito che accompagna dalle elementari fino al circolo bocciofilo ed ha equivalenti, forse, solo nella cultura balinese e in alcune zone tribali del Ciad. Anche qui vanno applicate le cinque “w”. “Chi fa l’asta?” I giocatori che possono essere amici, colleghi, commilitoni, compagni di scuola, vicini o legati da qualsiasi altro tipo di relazioni, l’età come detto varia.

“Quando?” La scelta del giorno è spesso drammatica, dovuto agli strascichi della mollezza estiva, se sei giovane o disoccupato o pensionato la fai di giorno, se non rientri in questa categoria o non hai la fortuna di avere amici che sono disponibili l’ultimo weekend estivo devi scegliere un qualsiasi orario di cena tra il lunedì ed il giovedì. Le contrattazioni sono spesso lunghe, alla fine si giunge al compromesso del mercoledì, penultimo giorno utile, spesso già mangiati, se hai amici ospitali, prepareranno una spaghettata o una serie di antipasti freddi, se non hai questa fortuna e non sei previdente non mangi. La costante nei due casi è rappresentata da una iniziale grande disponibilità di bevande alcoliche che si esauriranno all’altezza di Biava.

“Dove?” Se fino ai 18 anni si può godere delle ore morte di scuola per minacciarsi di morte a causa di un Ciccio Baiano qualsiasi, superata l’età della scuola dell’obbligo ci si deve spostare in una casa, solitamente verso i trenta anni, il primo amico che diventa “indipendente” ospita, trafelato, l’evento.

“Perché?” Questa è forse la domanda più complessa. Se il motivo apparente è dovuto dalla stessa dinamica del gioco che prevede un’asta per comprare i giocatori, la verità è che l’asta rappresenta un ritorno a quel eldorado in cui sapere di calcio era più importante, per le gratificazioni sociali, che saper usare windows, conoscere le leggi o applicare le tecniche di vendita più scalmanate. L’asta è il poker delle conoscenze calcistiche, forse la telesina, dove speri di vincere con l’asso o bluffi sperando di portarti via il fenomeno nascosto alla fine, ad 1, il sogno di tutti i Ferguson italiani.

L’asta è un momento sociale, spesso totalmente escluso alle donne, in cui si parla, e si è tenuti per regolamento a farlo, solo ed esclusivamente di calcio, meno alcuni intermezzi dedicati alla figa. Non c’è politica o lavoro, c’è solo da sapere se quest’anno Giovinco lo considerano attaccante, se Aguirregaray (qualcuno accompagna la sua chiamata all’asta con “e questo chi cazzo è?”) è difensore o se il Palermo giocherà con due punte.

Come? Questa è la seconda domanda più complessa, perché emerge, quasi sempre, un certo orientamento a trasgredire la legge ufficiale per includere emendamenti che variano da “fantalega” a “fantalega”: chi fa a classifica, chi segue solo i risultati pubblicati da un giornale, chi suggerisce una media tra tutti i quotidiani locali delle città che ospitano le squadre di serie A, chi propone pene sempre più dure per i trasgressori dei numerosi articoli che formano il regolamento. E quel tavolo, pieno di fogli di quotidiani rosa, penne e gadget informatici diventa il parlamento, purtroppo, e mi riferisco ai benefit, non come quello italiano. Ogni modifica al testo legislativo di riferimento viene promossa ed argomentata, con alterni risultati, da un oratore, sottoposta all’attacco dell’opposizione, e poi votata, ed anche qui conta spesso l’assenteismo di “chi se ne frega, tanto non cambia niente, rubate sempre, basta che se gioca”.

Si distribuiscono i crediti ai vari presidenti, e da questo momento non c’è più Giorgetto, er mezzacoscia,  Sauro er fornaro, ma ognuno si trasforma nel suo eroe in giacca e cravatta: chi diventa un ex venditore di citofoni, chi un parente de un noto palazzinaro romano, chi fa quello venuto dall’estero, chi un avvelenatore di operai e chi è costretto, avendolo sorpreso a barare in precedenti edizioni, a ricostruirsi una immagine, spesso riaccusando l’avvelenatore” che aveva beneficiato della sua successiva eliminazione.

Per comprare i giocatori, o si legge la lista in ordine alfabetico o ogni presidente a turno ne chiama uno. Questa seconda possibilità è quella che trasforma l’asta in una specie di poker. Ognuno ha la sua strategia, io chiamo i giocatori che so che gli altri si compreranno e cerco di far salire il prezzo per poi prendere i miei sconosciuti a meno, tutto questo naturalmente non vale per gli attaccanti, momento clou dell’asta. Le dinamiche sono simili a quelle di certi mercati ittici giapponesi con una punta di Sotheby’s, c’è il banditore e i vari tonni vengono presentati, e pesati tra i commenti degli astanti, poi rilancio su rilancio si cerca di conquistare il merluzzone desiderato, spesso arrivi tardi e trovi solo le perchie.

Si rovinano amicizie per colpa di un Naingollan, si prova, come a Risiko (altro momento apotropaico), a fare alleanze nella speranza di poterle tradire nel nome di Matri, ci si ritrova in squadra la classica pippa per colpa di un rilancio etilico e solitamente, dopo tre o quattro ore, si finisce, si leggono le formazioni finali e ci si gratta tutti le palle mentre il menagramo del gruppo elogia la tua scelta per la fascia destra.

Poi si torna a casa, si deve spiegare alla donna che no, lei non può capire, prendersi del maschilista ed addormentarsi sognando una doppietta di Nesta.

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