Horror vacui: fenomenologia di Pierluigi Diaco
Se Telese è il Centofanti del giornalismo italiano, Pieluigi Diaco ne è il Morfeo.
Ricordo chiaramente che nel 2001, mentre cercavo qualche titolo in una celebre libreria del centro di Roma, mi trovai davanti un volume che si intitolava “Nel 2006 vinco io (e intanto gioco a governare).”
Ignoravo chi fosse quella specie di giovane che dalla copertina, affiancato a un monopattino con cui gareggiava in espressività, proponeva “Sette ispirazioni o argomenti forti” e che, in una sorta di diarrea dialettica, stimolata dall’assunzione di enormi dosi di ovvietà, proponeva una ricetta di svecchiamento politico che passava per “il miracolo di Internet”.
Considerando che nel 2001 non tutta la popolazione aveva capito che un modem ti faceva vedere il porno gratis o scaricare illegalmente dei contenuti audiovisivi, questo suo puntare sull’uso delle nuove tecnologie della comunicazione, lo faceva apparire un visionario illuminato agli occhi dei bolsi osservatori contemporanei, un giovane rampante con molto da dire.
Naturalmente non lo comprai ma mi appuntai quel nome, convinto che purtroppo sarebbe “ricicciato”.
Per fortuna il suo programma, che includeva un “Ministero per il Divertimento” e un ruolo dirigenziale per Cecchetto, rimase nell’oblio a cui era destinato, così nel 2006 non iniziò a governare ma la sua carriera continuò, sempre nel difficile ruolo di chi si autoproclama esponente di una generazione, nella fattispecie quella famigerata “generazione X” di noi cresciuti negli anni 80, sputtanata per sempre dall’accostamento con lui, dai film dei Muccini e dalle canzoni dei Negroamaro.
Incomprensibilmente, in questi anni Diaco ha avuto spazio nei quotidiani, anche se uno è quello destinato al macero che fu fondato da Ferrara, in gloriose testate come “Novella 2000” ed in differenti trasmissioni radio e televisive, tra cui una, terribile, prodotta da lui.
Nel 2010 iniziò la sua collaborazione con Maurizio Costanzo, chiudendo da solo la bara della propria carriera come autore, i cui primi chiodi erano stati messi ad Uno Mattina Estate e nella dimenticabile trasmissione, chiamata con acume, “Generazione X”.
La sua arroganza era già lapalissiana da quando iniziò a TMC; per inquadrarla bastava il titolo della citata pubblicazione, che adesso si può trovare vicino ai libri di Gervaso con il 50% di sconto in certe bancarelle gestiti da cingalesi senza colpe, o il giudizio tranchant di Grasso che lo definì, con insolita lucidità, un “blando avventuriero del piccolo schermo […] giovane ma anche vecchio. Non ha un pensiero, ma finge di averlo”.
Naturalmente se quest’ultima fosse una colpa sanzionabile con l’allontanamento dai microfoni, ci ritroveremmo solo con Massimo Fini a dover gestire il palinsesto di sette reti nazionali.
Filippo Facci, un altro sempiterno giovane, ma almeno di talento, di lui scrisse, commentandone la famigerata e succitata pubblicazione: “Dopo tante parole ecco la personificazione, il modello, il frankenstein, l’archetipo di colui che nell’ultimo istante della nostra vita ( lo disse Umberto Eco) ci farà morire nella sazia convinzione che tutti gli altri sono dei coglioni, sicché potremo accomiatarci.”
Negli ultimi mesi pensavo fosse finalmente scomparso, invece me lo sono ritrovato in uno di quei patetici studi televisivi pomeridiani pagati con il canone ,che discettava di “casta” e “nuova politica” usando argomentazioni che avrebbero fatto arrossire, per la limpida ovvietà, uno di quei classici vecchietti starnazzanti che puoi incontrare su un autobus romano in un giorno di sciopero generale.
Ma Diaco è cambiato, anagraficamente ha capito che non può più passare per giovane, anche se spesso ha la metà degli anni degli altri opinionisti, quindi, in assenza di altre capacità, cavalca la propria arroganza, sperando di riuscire a riciclarsi come “polemico non più giovane”, non rendendosi conto che questa sua soma ha ormai gli zoccoli sudici, e che la sua carriera si è trasformata in una carrareccia.
Per qualsiasi domanda: http://www.youtube.com/watch?v=–PVltJznm4