Conversando con l’Observatorio Eurasia: Nicolai Lilin, un siberiano educato
Traduzione dell’articolo pubblicato sulla pagina web dell’ObservatorioEurasia http://www.observatorioeurasia.org/?section=news-view&id=218&page=1
Per la prima “uscita” delle nostre Conversazioni ho pensato di avvicinarmi a Nicolai Lilin, un nome che al pubblico di lingua spagnola potrebbe dire poco, visto che non ha nemmeno una pagina in wikipedia.es, volendo considerare quest’ultima come un “who’s who” digitale.
Il suo primo libro, Educazione siberiana, è stato tradotto in castellano, mentre gli altri due, Caduta Libera ed il recentissimo Il respiro del buio, ancora non sono disponibili.
Probabilmente dopo l’uscita del film, diretto dal premio Oscar Gabriele Salvatores, basato sull’esordio letterario del trentenne di Bender, l’industria editoriale colmerà questa lacuna.
Per quanto riguarda i contenuti, il primo è un percorso nell’educazione di un giovane urka in Transnistria, il secondo narra l’esperienza militare in Cecenia mentre l’ultimo, come a chiudere un ciclo, racconta la disillusione del ritorno nella Russia a trazione capitalistica, dove la criminalità è istituzionalizzata e non segue la deontologia suggerita dalla tradizione siberiana.
Con uno stile schietto Lilin, forse come Bunker, costruisce un mondo di criminali onesti, retti da una tradizione e da regole secolari tramandate dagli anziani, contrapposto a una sistema ed una società “disonesta”.
In Caduta Libera ci troviamo a sperare che, se mai in futuro ci dovessimo trovare in qualche bosco della Cecenia con quattrocento arabi armati dall’occidente meglio di noi, che ci inseguono, ci sia un capitano Nosov a guidarci.
Nicolai Lilin, soprattutto in Italia, ha rappresentato un caso letterario e sociale. Pur essendo russo e nato nell’attuale Transnistria, tutti i suoi libri e racconti sono scritti in un ottimo italiano, vista la sua recente immigrazione nello stivale; questo è stato visto da alcuni come una prova dell’integrazione degli stranieri e da pochi come l’effetto di un vigoroso intervento di un bravo editor.
Essendo un amante della sua opera, ho letto molto “su” di lui, e per prepararmi al nostro incontro ho cercato nei giornali, anche digitali, eventuali critiche o accuse rivoltegli. Tra di esse ho trovato il testo di un collaboratore di un noto quotidiano italiano, che non riceve finanziamenti pubblici, che accusava Lilin di essere una “bufala”, responsabile di raccontare esperienze altrui e di manomettere eventi storici. E’ come se qualcuno dicesse che quel viaggio al termine della notte romanzato da Celine sia falso perché l’Amiral-Bragueton non è mai salpato da Marsiglia.
Credo che accusare uno scrittore di essersi inventato gli argomenti dei propri romanzi sia un ossimoro ed un modo abbastanza sterile di perdere il proprio tempo e che chiunque lo faccia, sia parente diretto di chi continua a fissare l’unghia scheggiata del dito che indica la luna.
Quando, per ottenere l’intervista, ho contattato Kolima, l’associazione culturale fondata da Lilin a Milano, ho capito che entrambi condividevamo una certa avversione per il modus operandi giornalistico e, per fortuna, una certa simpatia per i ricercatori.
La data scelta dalla sua gentilissima addetta stampa, il 4 dicembre, con il senno di poi, aveva un valore simbolico infinito, ma io non potevo saperlo.
Ci incontriamo a Castelnuovo di Porto, paesino ai bordi di Roma che ospita, nell’appena restaurata Rocca, una rassegna letteraria, fatta di dibattiti e incontri con gli autori, inaugurata da Nicolai. Quando mi raggiunge, noto che è alto poco meno di me, e che, visto da vicino, riassume tutte le presunte caratteristiche del popolo russo con i suoi occhi ghiacciati e gentili, e anche di quello criminale siberiano, visto che ha le mani, le dita e le braccia interamente tatuate.
Chiunque abbia letto il suo romanzo d’esordio sa che ognuno di quei simboli incisi nella pelle è una storia che presenta e racconta l’anima che li indossa, ma non mi sembra gentile iniziare a fissarlo, e poichè la maggior parte delle interviste realizzate finora si dedica principalmente alla sua esperienza come tatuatore, mi rifiuto di ripetergli le stesse domande.
Visto il clima rigido, ci spostiamo dentro la sede dell’associazione Arcipelago, organizzatrice dell’evento, ed iniziamo a conversare; la sua accompagnatrice mi ricorda che non devo fare domande di politica, ma è un divieto che sarà totalmente trasgredito dalle parole di Lilin.
Nella chiacchierata preliminare, svolta davanti ad un pessimo caffè espresso, scopro che non beve superalcolici e non assume droghe ma che a tutti e due piace l’opera di Vladimir Vojnovic e la musica dei Kino. Mi spiega che il suo anticomunismo è radicato nell’esperienza storica della sua famiglia materna, di origini aristocratiche, trucidata nella realizzazione moldava della lotta di classe. Una strage dalla quale fu risparmiata la bisnonna di Nicolai, perché “non compariva nella foto di famiglia”.
Propongo quindi al lettore un estratto della nostra lunga conversazione, rimandando al testo integrale e al video che saranno pubblicati prossimamente, sperando che le sue parole possano aiutare ad ampliare la nostra comprensione di una realtà complessa e polimorfica, come quella dell’ex area sovietica.
Tu hai un enorme gruppo di sostenitori, ma visti gli argomenti che tratti, hai anche degli oppositori. Ho letto su internet diversi articoli in cui si critica la tua opera. Perché un prodotto dell’industria culturale crea reazioni cosi violente?
Quando si trattano temi che in sé sono contraddittori, è molto difficile trovare un pubblico che ti capisca in maniera unitaria, come quando invece si racconta una storia d’amore o una vicenda umana, molto chiara per tutti che non include la necessità di capire varie situazioni politiche e sociali.
Quando si parla di una storia più complessa che si sviluppa con i cambiamenti politici e sociali nel corso della storia di un Paese, sempre si trovano due parti che sostengono una teoria più dell’altra. E’ una cosa normale, anzi io mi preoccuperei se il mio libro non fosse stato osteggiato da alcune persone, anche se non sono tante. Questa contestazione per me è importante perché conferma quello che io pensavo da tempo, ovvero che una certa mentalità ed un determinato modo di trasmettere e trattare la realtà esistono ancora.
Con il crollo del regime sovietico, nonostante i cambiamenti che sono avvenuti tra il 1980 e il 2000 all’interno dell’umanità, per gli uomini che hanno visto questi cambiamenti, non è cambiato molto. La politica in sé, non cambia la società, ma è la società che è uno specchio della politica, quindi la società genera la propria classe politica. Se in URSS si viveva in un certo modo è perché la maggior parte dei cittadini generavano quella forma politica, come in Italia e nel resto del mondo.
I miei libri raccontano storie private, che possono essere lette come normalissime narrazioni, come la maggior parte dei lettori fa, ma c’è anche chi le interpreta legate alla politica.
Questo genera dinamiche di autodifesa, meccanismi di contrasto. Ognuno vuole dire la sua, qualcuno intende usare il mio nome per arrivare alla notorietà e comunicare all’opinione pubblica il proprio punto di vista, come fanno certi giornalisti.
Io non faccio parte di questi giri, io semplicemente ho scritto un’ opera narrativa ed i miei libri li tratto come tali, non voglio assumere nessuna posizione politica.
Tu sei di origini siberiane ma sei nato in Transnistria. Com’era la vita nella periferia dell’impero? Nell’Educazione Siberiana, per esempio, tu scrivi che con alcuni amici parlavi di letteratura, che genere di letteratura circolava in Transnistria e come arrivava?
Noi eravamo guidati da persone arroganti e ignoranti, politicamente molto impreparate, perché provenivano tutti dall’ambito militare: sapevano poco dell’economia internazionale, non volevano aprirsi al dialogo e non avevano tolleranza verso le altre realtà sociali.
Tra tutti questi piccoli mali, quello più grande che veramente ha portato l’URSS a crollare è stato il maltrattamento del proprio popolo. A un certo punto il regime comunista è arrivato a trasformare l’intero Paese in una grande prigione.
La censura era sicuramente l’aspetto più orribile, perché puoi mettere una persona in carcere, privarla della libertà fisica, limitare i suoi spostamenti: è complesso spiegare a un occidentale, cosa vuol dire nascere in un posto dal quale tu non puoi uscire fisicamente. In quella situazione tu sai che è impossibile prendere l’aereo per andare, per esempio, in Jamaica o a Roma o a Berlino.
Io sono nato in un Paese così; anche dopo l’Unione Sovietica, la Transnistria continua a essere in questo modo.
Oggi un transinistriano non può lasciare la Transnistria, perché è limitato da diversi giochi politici ed economici che gli impediscono fisicamente di andarsene. Questi piccoli meccanismi di censura e di prigionia degli stessi cittadini sono quelli che hanno portato l’Unione Sovietica al crollo. Esso è avvenuto proprio perché le persone non condividevano più la stessa idea e ne hanno sviluppate altre, rivoluzionarie, che superavano l’idea di comunismo, perché gli impediva, gli limitava, e nascondeva, certe libertà.
Quando tu non puoi vivere come vuoi o fare quello che vorresti fare, come l’arte, la poesia o la letteratura, quando tu ti trovi a scrivere i libri e sopra di te, come un flagello, c’è la censura sovietica, ovviamente ti senti imprigionato. Questa era l’atmosfera in cui siamo tutti nati, per questo noi abbiamo cercato di conoscere la maggior parte dei libri e delle altre situazioni che ci hanno condotto a un certo livello di pensieri, ad un certo modo di essere, che sottolineo. erano rivoluzionari perché noi non volevamo l’attuale governo e continuiamo a non volerlo.
Anche oggi esso è un governo totalitario, è cambiato poco: è cambiata la bandiera ma il modo di gestirlo è sempre lo stesso, la libertà è sempre limitata in qualche modo.
Noi cercavamo le nostre vie per informarci. I libri normalmente li prendevamo nei mercati proibiti. Essi erano mercati neri che si organizzavano tra persone che conoscevano questi ambienti: studenti che traducevano, moltiplicavano di nascosto e rilegavano a mano i libri vietati che arrivavano attraverso i canali occidentali. Lo stesso valeva per la musica: io ho scritto anche un racconto, “Rock in URSS”, dove descrivo tutto l’ambiente musicale. Era tragico, drammatico.
Quello che per noi ora è un’azione normale come entrare in un negozio di dischi, scegliere tra migliaia di dischi quello che ti piace di più, ascoltarlo, provarlo, vedere se ti piace davvero, pagarlo, portarlo a casa e diventare proprietario di un’idea che qualcuno, in un’altra parte del pianeta, ha inciso in dei brani musicali, in Unione Sovietica era impossibile, era un atto criminale per cui si poteva andare in galera.
La moltiplicazione del “materiale proibito” e tutto quello che orbitava intorno ai mercati sovietici era losco, molto criminale, per questo noi eravamo definiti criminali, non perché vendessimo droga come fa la camorra e la ‘ndrangheta. Il nostro crimine era di volere la libertà di leggere i libri che ci piacevano e sopravvivere in una situazione brutta.
La cosa importante, che va sottolineata e che molti non capiscono, è che la Russia è molto diversa da quel che si pensa. Nei miei libri alcuni mi legano a quest’idea della Russia che gira intorno a Mosca e San Pietroburgo: per l’Occidente purtroppo la Russia finisce li. C’è gente che non capisce che nel 1992, appena a Mosca è cambiato il governo e sono state aperte le porte al capitalismo, nel mio Paese c’era la guerra civile, la gente si ammazzava per strada, scorreva il sangue, c’erano i carri armati, i bombardamenti e i cadaveri dappertutto. Sono due realtà nello stesso Paese che attraversava lo stesso periodo storico però con due facce diverse: eravamo molto arretrati, molto chiusi, eravamo un tinello in cui un grande padrone aveva deciso di rinchiudere tutti i suoi scheletri sperando che con l’arrivo del capitalismo gli occidentali non trovassero niente.
Naturalmente il Grande Padrone voleva anche preservare la sua posizione geopolitica, mantenere il proprio esercito in un territorio che non fa parte del suo territorio, perché la Transnistria, dopo il crollo dell URSS, è rimasta in mezzo tra Ucraina e Moldavia: la Russia territorialmente non c’entra niente. Perché anche oggi l’esercito russo continua ad essere stanziato in Transnistria? Ovviamente perché la Russia non vuole giocarsi questo bellissimo posto da dove può controllare le attività dell’Ucraina sul mar Nero e quelle della NATO in Romania: è un posto perfetto.
Con tutte le fabbriche e i depositi di armi che hanno costruito sicuramente non lo abbandoneranno mai.
Gli serviva un pretesto per rimanere li, quindi hanno organizzato con i loro mezzi, con i servizi segreti, la Guerra Civile del 1992, mettendo l’uno contro l’altro, due popoli fraterni. Noi avevamo avuto sempre buoni rapporti, non è vero che tra Russi e Moldavi c’è un odio razziale, chi lo dice è un bugiardo. Noi eravamo ospitati dai moldavi.
Il nostro mondo, che è il mondo che io racconto, era incentrato in una situazione politica totalmente diversa dalla maggior parte della Russia di quel tempo, per questo nella mia narrazione anche alcuni russi leggono cose che non conoscono, perché della Transnistria si sapeva poco.
Com’era vivere in una periferia dell’impero cosi lontana dal centro? Per esempio, la propaganda sovietica, e quella successiva, arrivava con gli stessi canali e le stesse modalità del resto del Paese o da voi c’erano, e ci sono, delle forme “locali”?
Io faccio fatica a spiegare alla gente, anche agli stessi russi, qual è il vero problema della Transnistria. E’ un Paese che non ha identità, è una bufala, una truffa geopolitica. Una truffa comoda per la Russia e per l’Occidente.
L’Europa compra il gas e le interessa solo che non aumentino i prezzi o diminuiscano i flussi. Noi a livello politico non siamo niente, la Transnistria non esiste, è un nome inventato nel 1992 da queste persone spinte dalla propaganda del KGB, che hanno usato delle pretese che partivano dalla Moldavia.Esse, tra l’altro, erano giuste perché Romania e Moldavia sono lo stesso popolo, hanno sempre coesistito, tanto che la Romania al suo interno ha una regione che si chiama Moldavia. Questo è perché la storia della Russia contemporanea è stata scritta e riscritta con troppa presunzione, tanta che io oggi non credo a neanche una parola, anche se magari ci sono cose vere. Preferisco le fonti parallele, fare ricerche o rimanere ignorante ma consapevole che è un pezzo della storia che non conosceremo mai. Questa è la nostra tragedia: noi conosciamo il periodo medioevale e imperiale russo meglio del periodo sovietico.
La mia terra fa parte di questi giochi politici, poi si possono dire tante cose, per esempio che “la Transnistria è una giovane paese indipendente che lotta per la propria libertà”, ma la libertà da che cosa? Da cosa ci dobbiamo liberare? Noi con i moldavi siamo fratelli, senza Moldavia e senza Ucraina non possiamo vivere perché la Transnistria è un paese parassita, che non produce niente, solo armi, e che partecipa ai traffici illegali, tra l’altro a livello amministrativo.
Non lo fanno più i criminali, lo fa il governo, dal Presidente fino all’ultimo maresciallo. tutti contribuiscono ai traffici illegali perché è l’unica cosa che porta i soldi.
Poi ci sono vari modi per raccontare i livelli politici di un Paese. C’è chi esagera: “è una cosa giusta, perché i russi sono stati calpestati nel 1992, i moldavi hanno voluto prendere possesso del paese, hanno ammazzato i russi, c’è stato un genocidio.”. Si, è vero c’è stato un genocidio da parte degli estremisti della Moldavia, che non rappresentavano la maggioranza del popolo moldavo e non hanno diritto di definirsi come tali, sono stati semplicemente criminali. Criminale è uno che supera un livello di comprensione della legalità sociale, perciò non ha più diritto di identificarsi con un certo regime politico o con una certa nazione, perde qualsiasi credibilità come uomo, rimane criminale.
C’erano molti criminali dalla parte moldava, spinti dall’ideologia, che sabotavano i cittadini russi, ma questi problemi si potevano risolvere con le trattative, con la partecipazione della Russia, non con la guerra.
Cosa ha fatto la Russia? Ha lasciato che questo margine di tensioni aumentasse, per far scoppiare la guerra e poi quando i popoli si sono ammazzati, con la pretesa di fare la pace si è mossa con i militari e quelli non se ne vanno da là. Che cosa vuol dire? Che è un Paese che serve politicamente come un luogo senza identità, quindi torniamo a questo concetto: la Transnistria non serve, per i politicanti di Mosca non deve esistere l’identità di questo Paese. E’ una specie di colonia, come se facessimo una colonia su Marte, dove c’è un punto geografico cui siamo interessati perché cosi controlliamo altri punti. Cosa succede non ha importanza, è una nostra colonia e basta. Per questo ora in Transnistria si vive nel modo più brutale e incredibile il progresso del regime comunista. Se voi oggi nel 2011, volete sapere cosa sarebbe successo se l’URSS non fosse crollata, andate in Transnistria.
Queste dinamiche di cui parli, che sono state applicate al tuo Paese nel crollo del grande impero multietnico , si sono verificate anche in altri luoghi…
Si, il Nagorno Karabak, la Cecenia ed il Caucaso sono esplosi nello stesso modo. La Bielorussia no, perché sono riusciti in fretta a passarla nelle mani di un tiranno, ex KGB, una persona totalmente indegna di guidare un popolo come quello bielorusso. Un bellissimo popolo, formato da persone di una grande educazione e storia che derivano da uno dei più antichi popoli che ha formato la Russia. Io mi arrabbio quando vedo i fratelli bielorussi guidati da questo vampiro, perchè noi parliamo male di Gheddafi, ma questo è peggio, è uno che deve essere abbattuto fisicamente. Un nemico non della democrazia, ma di qualsiasi pensiero libero. Io che sono e mi reputo una persona libera, un’essere cosi non lo considero umano. Lui nega la libertà che io ho in questo paese, a milioni di suoi concittadini, attraverso forme di repressione che un ex del KGB conosce sicuramente a memoria, che gli avranno insegnato in quelle accademie in cui investivano tanti soldi. E’ talmente arrogante che riesce a litigare e a mettere i bastoni tra le ruote anche nelle decisioni politiche della Russia. E’ una persona veramente incredibile, andrebbe studiato.
Lui, come tutti gli altri dittatori emersi dopo il crollo dell’URSS. Pensiamo all’ex presidente del Turkmenistan, che aveva tolto dalla circolazione tutti i libri, obbligando a leggere quello scritto da lui, creando un identità attraverso un uso retorico della religione, della storia e della letteratura…
Si potrebbe parlare ore di queste cose, proprio il Turkmenistan rappresenta in assoluto l’allegoria dell’idiozia del popolo sovietico. Il perché del successo e del crollo del regime sovietico, con la sua propaganda totalmente idiota, perché è stupido credere che nel mondo possano vivere solo persone uguali. Anche a livello estetico, se io volevo mettermi la camicia a righe gialle e tu il maglione grigio, il regime non l’approva e venivamo bollati come sovversivi. Una persona che pensa liberamente rappresenta un pericolo, quelli che non pensano completamente sono perfetti cittadini. Non devono pensare, ma accettare tutto.
Io da piccolo ho avuto una grande fortuna, quella di avere una madre che ha fatto parte del Partito Comunista, una ideologa perfetta. Noi in casa avevamo 35 volumi degli scritti e dei discorsi di Lenin. Mia madre ci credeva, ma adun certo punto ha perso la fede nel partito e l’ha abbandonato. Mi raccontava che la sua superiore, grande rappresentante regionale della gioventù del partito aveva tre figli, tutti e tre tossicodipendenti. Questa donna nel privato non riusciva a gestire i propri figli, ma si azzardava a insegnare agli altri: parlava contro la religione, denunciava i colleghi che frequentavano la chiesa e faceva discorsi abbastanza violenti sull’educazione dei figli. Mia madre diceva che stava male a vedere la falsità di questa donna, quando parlava del male che provoca la religione, mentre sapevamo tutti che a casa sua c’erano dei figli drogati, ladruncoli, che venivano portati via dalla polizia ma scarcerati grazie alle sue conoscenze. Mia madre ha strappato la tessera. Poi da adulto mi ha raccontato anche di quando andò al congresso dei giovani comunisti a Mosca, dove uno degli anziani del partito l’ha invitata a cena e gli ha detto chiaramente che se lei fosse diventata la sua amante, lui avrebbe facilitato la sua ascesa gerarchica nel partito. Mia madre ha detto che essendo una persona degna, aveva origini nobili, poi ha strappato il tesserino e gliel’ha tirato nel piatto.
Un atto rischioso…
Infatti dopo ha sofferto tantissimo, l’hanno licenziata ed inserita in una fabbrica tessile dove ha dovuto iniziare da zero, fare lavori fisici estenuanti, nonostante avesse un figlio piccolo.
Tornando a noi, il partito comunista voleva creare persone totalmente diverse da mia madre, persone senza spirito e identità, che accettavano tutto. Io dico che il nero è bianco e tu devi essere d’accordo, non voglio nemmeno sentire i tuoi commenti. Questa era la cosa peggiore: quando ti trovi davanti a un bugiardo e tu lo sai che è un bugiardo, ma non hai neanche la possibilità di dimostrargli che sei consapevole di ciò, anzi sei costretto a lodarlo, io vi garantisco che è la tristezza umana assoluta.
Il tuo primo libro è stato “Educazione Siberiana”, un’opera in cui recuperi la memoria delle tradizioni e della società siberiana e in cui è molto forte l’influenza dei tuoi “vecchi”. Lo storico francese Marc Bloch, nella sua “Apologia della Storia o mestiere di storico”, sosteneva che nelle società rurali, visto che i genitori erano fuori di casa a lavorare, i bambini erano educati soprattutto dai nonni e che questo generava una cristallizzazione della formazione intellettuale dei giovani, da cui deriva il tradizionalismo tipico del mondo rurale.
Quando sei tornato in Siberia, hai verificato se i valori fossero cambiati anche li?
In realtà quello che io racconto nel mio primo libro, si fonda sulla mia idea di fare una trasposizione letteraria di un cumulo di esperienze mie e altrui, soprattutto esperienze dei miei vecchi, di mio nonno e dei suoi amici. Ho voluto usare un modo narrativo molto particolare, volevo raccontare queste storie fuori dal tempo, senza dare possibilità ai lettori di capire in che periodo storico si svolgessero, come se si trovassero nel vuoto. Secondo me la letteratura è questa, permettere al lettore di capire i sentimenti senza che siano appesantiti dai fattori storici, e credo di esserci riuscito: sono molto contento che il primo libro sia andato bene.
Tutti i feedback che ho avuto su di esso sono stati molto positivi e sono stato contento che molti intellettuali occidentali, ma anche russi, hanno capito il mio sforzo e si siano complimentati per questo. Tutti i miei progetti successivi sono nati perché il mio primo libro è andato bene.
Esso rappresenta la voce di mio nonno, è come se fosse raccontato da un vecchio. Volevo creare questa patina che nasconde l’età, volevo scriverlo come se la voce narrante fosse quella di un giovane ma con l’impronta di un vecchio, cosi mi sentivo quando ero piccolo. Io ho una storia particolare, mio padre trattava male me e mia madre, si può dire che ho avuto un pessimo padre. Una persona di riferimento totale per me, era mio nonno. Una persona autoritaria, che aveva un’assoluta influenza su quello che sono io. Attraverso i suoi racconti, il suo modo di far vedere il mondo, io ho conosciuto la realtà e mi sono cominciato a misurare con questa. Quindi sono molto d’accordo col fatto che i più anziani rappresentino una categoria importantissima, se non la più importante per l’educazione umana: ci devono essere. Oggi la società metropolitana ci costringe a correre molto veloci, ad avanzare nella vita in un modo caotico e ci impone di tagliare le nostre strutture famigliari, infatti non ci possiamo più permettere di tenere i vecchi in casa e li mandiamo in queste strutture orribili, che io definisco depositi di anziani. Così perdiamo un’enorme fonte di esperienza, i giovani commettono tanti sbagli e non c’è più un vecchio che possa dargli un consiglio.
Il tuo secondo libro parla della guerra in Cecenia. Da alcuni anni in testa alle classifiche dei prodotti dell’industria culturale più venduti c’è una serie di videogiochi che ricrea fedelmente scenari, armi e contesti di quella guerra . Tu che l’hai vissuta, cosa provi quando pensi che milioni d’individui,comodamente a casa loro, si mettono nei panni di un cecchino ed ammazzano, anche se solo virtualmente, altre persone? La vedi come un banalizzazione della guerra, per usare le parole di Mosse? Per te si prepara la gente al dolore e si sminuisce il lavoro del soldato? Si cerca di far in modo che la guerra non sia dolore, che siano manichini a cui spari? Pensi che con la propaganda si cerca di convincere che quando esplode una guerra in verità non ci siano vittime?
La guerra è un’attrazione per chi non l’ha mai conosciuta direttamente. Io questa cosa la posso confermare. Quando ero piccolo, negli anni ‘80, non avevamo videogiochi ed io ero assatanato di libri di guerra, americani e russi. Vedevo la guerra come una grande attrazione, perché è sempre des scritta dal punto di vista eroico e si narrano situazioni che trasformano in superuomini. Nel 1992 ho conosciuto la guerra, ho visto gente morire per strada. La dinamica della guerra è brutale, non si può spiegare. Non si può far capire agli uomini cosa perdono se non hanno perso mai qualcosa, cosa vuol dire la fame se hanno appena mangiato: è qualcosa che devi provare.
Riguardo al videogioco, mi è capitato di vederlo due anni fa a casa di un mio amico, lui mi ha detto “dai Nico ti faccio vedere una cosa divertente, ho comprato un gioco e c’è questa operazione militare proprio a Grozny, dove sei andato tu”. Io dicevo “no ma è impossibile, non ci credo, non esiste”. Poi ho giocato e mi è aumentato il battito del cuore: era impressionante, una cosa tremenda, anche a livello fotografico: era Grozny, Cecenia, cazzo non c’era scampo.
Sono contrario a queste cose perché minimizzano una tragedia e la trasformano in divertimento. Chi vuole conoscere la guerra prende l’arma e va a farla, libertà totale, chi vuole sapere cosa si prova quando si uccide un uomo, è inutile che legga libri, scriva articoli o faccia ipotesi: prendi un arma e uccidi un uomo, vedi cosa succede, vivilo. Poi naturalmente sei responsabile davanti alla legge, hai ucciso un uomo, vai in galera per tutta la vita, o se stai negli USA vai sulla sedia elettrica.
Ormai chiacchieriamo da un’ora, Nicolai è un fiume in piena che inonda i miei interrogativi, solo l’intervento della sua addetta stampa ci ricorda che è finito il nostro tempo, ci stringiamo la mano e ci salutiamo.
Pochi minuti dopo, mentre è in corso la presentazione de “Il respiro del buio”, una troupe della televisione pubblica italiana lo informa dei risultati elettorali in Russia, ma lui non sembra molto colpito, dopo aver ripetuto la sua volontà di rimanere fuori dalle discussioni sulla politica russa, esorta i suoi interlocutori ad aspettare l’evolversi della situazione.
E’ comprensibile questo suo desiderio di non immischiarsi, ha ricevuto già abbastanza minacce di morte.